L’analisi del Consulente Finanziario si concentra sull’andamento dei costi del petrolio, considerati i recenti ribassi, con una riflessione sui paesi produttori ed esportatori di “oro nero”. 

“Mettete un po’ di petrolio nei portafogli: Commodities al traino della crescita globale stimata al 3,2% nel 2017”. Così titola l’articolo del giornalista Vitaliano D’Angerio apparso nell’inserto del Sole 24 Ore “Plus24” lo scorso sabato 15 Aprile. L’articolo trae spunto dalle dichiarazioni di Christine Lagarde, Direttore Generale del FMI – Fondo Monetario Internazionale, la quale sostiene che dopo anni di economia stagnante ci siano evidenti segni di ripresa, con conseguenti maggiori consumi di petrolio.

Dal momento che da quella data ad oggi il prezzo del Brent (una tipologia di petrolio) è sceso di un ulteriore 15%, questo non ci deve far dimenticare innanzitutto che quando ci avviciniamo a certi tipi di investimenti (se non siamo dei trader disinvolti con ottica speculativa di breve periodo), dovremmo sempre considerare un orizzonte temporale di medio termine e preferibilmente inserirli all’interno di un’equilibrata diversificazione del nostro portafoglio globale.

A parte queste brevissime e sensate considerazioni, mi preme evidenziare il fatto che molti specialisti del settore stanno elaborando previsioni totalmente discordanti rispetto a quelle riportate dal nostro più importante quotidiano di finanza. Tra tutti vorrei citare l’esempio della potentissima banca d’affari Goldman Sachs, società nella quale hanno lavorato molti italiani illustri, tra cui il governatore della BCE Mario Draghi e l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti. Secondo le loro approfondite analisi, e traducendo il titolo di uno dei loro più recenti articoli a riguardo, i prezzi del greggio sono prossimi “alla capitolazione definitiva” (“oil nearing capitulation”), con rischio di implodere a 30 $ nel 2018.

Ma gli esperti della Goldman Sachs come sono giunti a questa conclusione?

Innanzitutto stiamo assistendo ad un continuo aumento di produzione da parte degli Stati Uniti, nonostante negli ultimi due anni da più parti si sia sostenuto che un persistente prezzo del petrolio sotto i 60 dollari al barile avrebbe fatto fallire la maggior parte delle aziende che si occupano di estrarre petrolio dalle rocce bituminose.

Le altre due nazioni che stanno creando problemi all’OPEC – l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio – nella sua frenetica opera di cercare di raggiungere nel più breve tempo possibile un prezzo di equilibrio tra domanda e offerta, sono Libia e Nigeria. Questi due stati fanno parte dell’OPEC, ma sono dispensati dal seguire la politica dei tagli di produzione e negli ultimi mesi hanno inaspettatamente aumentato l’estrazione a 350.000 barili al giorno, vanificando il 25% dei tagli decisi dal cartello.

Personalmente penso che nei prossimi mesi queste due nazioni potrebbero aumentare ulteriormente la produzione, spinte dalla Comunità Europea che sta cercando di limitare il più possibile il flusso migratorio dalla Nigeria e che vede la Libia come nazione di transito. In queste due nazioni il “business del migrante” sta ormai diventando una delle principali fonti di reddito per migliaia di persone. Solo trovando valide alternative di guadagno si potrà arginare questo dramma: una di queste è l’aumento di introiti derivanti dalla vendita di petrolio.

Ma noi dovremmo gioire, se facessimo il pieno alla nostra auto con un petrolio a 30 USD al barile?

Non proprio, perché a differenza degli anni Ottanta del secolo scorso, quando il beneficio del calo del prezzo del greggio favorì le economie occidentali, ora la situazione è completamente diversa. I paesi produttori rappresentano ormai una buona parte dell’economia mondiale ed una situazione costante di prezzi bassi porterebbe ad un considerevole calo di importazioni dall’Europa e dagli Stati Uniti, o dei loro investimenti nelle economie avanzate.

Come in tutte le cose ci vuole il giusto equilibrio, il giusto prezzo … e molti lo indicano tra i 60 e 70 dollari al barile.

Glossario:

WTI: West Texas Intermediate. È il petrolio più pregiato, per il minor apporto di zolfo
Brent: È il petrolio estratto nel Mare del Nord, nonostante la sua produzione limitata determina il 60% dei prezzi sul mercato. Ha toccato il minimo storico il 10 dicembre 1998 a 9,55 USD al barile ed il suo massimo l’11 luglio 2008 a 147,25 USD al barile (in quei mesi del 2008 molti economisti sul “Sole 24 Ore” vendevano “certezze” dichiarando che il petrolio sotto gli 80 dollari non sarebbe più esistito.)
Brent Blend: Utilizzato per definire il petrolio estratto in Europa continentale, Russia, Africa e Medioriente
Barile di Petrolio: sono per convenzione 159 litri, pari a circa 135 kg.

Scarica e conserva “IL CAVEAU N° 11”.