Mentre gli occhi del mondo intero sono puntati sull’elezione del romano Pontefice, con giornalisti provenienti da ogni parte del globo impegnati da settimane a fare pronostici e a seguire le tradizionali e grandiose cerimonie per l’elezione del papa, qualcuno ha cominciato a guardare con interesse alle finanze vaticane e a domandarsi in che stato si trovino, in seguito alle recenti riforme.

La vox populi o, meglio, qualche malizioso all’interno delle mura vaticane sussurra che il nuovo papa avrà giusto il tempo di dire una preghiera, per poi mettersi a studiare i bilanci dello Stato Pontificio. Bilanci che, oltre a non essere frequentemente pubblicati, tanto che l’ultimo consolidato risale al 2022, riflettono una situazione di profondo rosso perché le spese continuano ad aumentare, mentre le entrate, in particolare le donazioni dei fedeli, diminuiscono costantemente, nonostante la Santa Sede possa vantare un patrimonio di 4 miliardi di euro.

Secondo alcune stime, nel 2023 le spese sono state 1.236 milioni (+33 milioni, rispetto all’anno precedente) a fronte di ricavi pari a 1.152 milioni di euro, in aumento comunque di 28 milioni, ma insufficienti ad evitare un allargamento del deficit, che sarebbe passato dai 78 milioni del 2022 agli 84 milioni, poi contenuto, secondo fonti giornalistiche, intorno ai 70 milioni.

Tutto ciò nonostante Papa Francesco, nei suoi dodici anni di pontificato abbia introdotto numerose riforme e cercato di dare una stretta alle spese, ad esempio tagliando gli affitti di favore ai cardinali e riducendo di circa il 10% quello che una volta si chiamava “piatto cardinalizio”, ovvero lo stipendio, in media oltre 5 mila euro al mese. Lo Ior (l’Istituto per le Opere di Religione), la cui fama è stata per anni legata a scandali finanziari ed evasione fiscale, su cui è concentrata la gestione di tutti i beni mobili, è stato reso conforme alle norme internazionali in materia di antiriciclaggio. Inoltre ha creato le figure del revisore generale e un ministero ad hoc, la Segreteria per l’Economia ed ha accentrato presso l’Apsa (l’organismo economico della Curia romana) la gestione di tutti i beni immobili.

Tutti questi interventi non sono bastati a risolvere alcuni problemi strutturali, come la mancanza di entrate certe, basate solo sugli incassi dei Musei Vaticani, sui turisti di San Pietro, sui diritti dei libri del papa e di altre pubblicazioni, e poi sugli utili di Apsa e dello Ior.

Infine, tra i problemi più gravi che il nuovo pontefice dovrà affrontare c’è quello del bilancio del fondo pensioni dei dipendenti vaticani per cui si teme un buco di entità variabile tra 500 milioni di euro e 1 miliardo. Lo stesso Francesco lo scorso novembre aveva provveduto al commissariamento del fondo, affidandolo alle cure del cardinale Kevin Farrell (l’attuale Camerlengo), mostrandosi – in una lettera inviata al Collegio dei Cardinali – ben consapevole del fatto che “occorrono provvedimenti strutturali urgenti, non più rinviabili, per conseguire la sostenibilità del Fondo Pensioni”.

In conclusione, per risanare le dissestate finanze vaticane, non basterà di certo invocare l’intercessione dello Spirito Santo, come nel caso dell’elezione del pontefice, ma servirà piuttosto una buona dose di pragmatismo e di capacità di gestione delle risorse da parte del nuovo papa.

Crediti: Photo Jerome Clarysse  – Pixabay

Federica Coscia, Paolo Gambaro

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