E’ assolutamente normale pensare che gli scambi internazionali siano tutti basati sulla supremazia del dollaro. E, in effetti, è così: secondo i dati del 2021 il 59% delle riserve valutarie mondiali sono in dollari, in base alle stime del Fondo Monetario Internazionale. Ed è ormai da diversi anni che si discute sulla fine del suo primato nel mercato monetario mondiale, tanto che il primo a parlarne fu Robert Triffin, noto economista belga, ben sessant’anni fa.
Nonostante le alterne vicende, il biglietto verde ha tenuto fino ad oggi, pur subendo una graduale erosione del suo potere, specialmente a partire dal 2001 in poi, anno in cui ancora il 71% delle riserve valutarie globali erano in dollari.
Ma da dove nasce questa egemonia che si estende da quasi un secolo sul mondo intero?
Le radici affondano nel lontano 1944 e precisamente negli accordi di Bretton Woods, con cui 44 potenze si accordarono per un sistema monetario ancorato al valore della valuta, che, a sua volta, aveva una convertibilità fissata con l’oro. Anni dopo, nel 1970, la situazione economica creata dalla guerra in Vietnam, da quella in Corea e da un livello crescente di indebitamento degli USA, determinarono un aumento della quantità di moneta circolante, con un’impennata di richieste di conversione in oro del dollaro. A questo punto, quindi, il Presidente Nixon decise la sospensione della convertibilità in oro, determinando una nuova stagione nella politica monetaria del Paese.
Ciò comunque non ne compromise l’egemonia sul mercato dei capitali, grazie anche alle politiche economiche americane del tempo e all’oculata politica del tassi portata avanti da un governatore della FED, Paul Volcker. Nell’insieme quindi la valuta statunitense è sempre rimasta un bene rifugio per gli investitori di tutto il mondo.
Ma oltre ad una progressiva erosione delle riserve mondiali, anche causata dalla concorrenza generata dall’Euro, la situazione, a partire dal 2022, è radicalmente cambiata a causa di un altro importante fattore: la guerra in Ucraina. Da questo momento in poi, l’effetto delle politiche internazionali ha fatto sì che la quantità di dollari scambiati in Russia sia sensibilmente diminuita, per far posto a Rubli e Yuan. Xi Jimping ha quindi proposto alla Russia, nel corso della sua ultima visita a Putin, di utilizzare come riserva valutaria primaria lo Yuan al posto del dollaro.
La Cina inoltre domina da diversi anni il mercato africano. Ma non è tutto: negli ultimi tempi, l’Arabia Saudita ha annunciato che sta valutando di usare lo yuan cinese per i suoi commerci di petrolio, dopo che i rapporti con gli Stati Uniti si sono deteriorati con la presidenza Biden. A ciò è seguito un accordo commerciale siglato con la Cina per costruire una raffineria di petrolio dal costo di 83,7 miliardi di Yuan, l’equivalente di circa 12 miliardi di dollari.
E anche il Brasile ha siglato un accordo con la Cina per scambiare beni nelle loro rispettive monete, bypassando quindi la moneta statunitense.
Last but not least, ha fatto scalpore la notizia del primo acquisto di Gas Naturale nella storia da parte della Francia avvenuto in Yuan. Si tratta di un carico da 65.000 tonnellate di Gas Naturale Liquefatto che la Francia avrebbe acquistato dagli Emirati Arabi Uniti, passando attraverso lo Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange.
Anche se si tratta di un processo che potrebbe impiegare anni a realizzarsi, di fatto l’egemonia del dollaro non è mai stata minacciata come oggi. La corsa per sostituirlo quale valuta di scambio internazionale è cominciata e la Cina certamente non vuole tirarsi indietro. E con gli Usa che rischiano il default dal primo di giugno, secondo le parole del segretario al Tesoro Janet Yellen, l’amministrazione Biden avrà ben più di una questione da risolvere.
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Federica Coscia, Paolo Gambaro