Il Consulente Finanziario illustra l’esigenza delle PMI di trovare soluzioni ed investimenti al di fuori dei circuiti bancari tradizionali, ad esempio con i PIR ed i fondi Private Debt.

PMI è l’acronimo italiano di “Piccole e Medie Imprese”, da non confondere con l’indice internazionale PMI (Purchasing Managers Index) che misura, come abbiamo visto nel precedente editoriale, la contrazione o l’espansione del settore manifatturiero.

Le PMI italiane possono essere definite a buon diritto “l’ossatura portante dell’economia italiana”. A fine 2015 (dati CERVED) – se consideriamo anche le micro imprese, ossia quelle con meno di 10 dipendenti – esse rappresentavano oltre il 99% di tutte le aziende esistenti sul territorio nazionale.

Durante la crisi iniziata nel 2008, le PMI italiane non si sono indebolite unicamente per la forte caduta della domanda, ma anche per il cosiddetto “credit crunch”, ovvero per una minore erogazione di prestiti sia di origine bancaria sia di natura commerciale. E anche se nel 2015 il calo si è arrestato e nel corso del 2016 sono cresciuti sia i debiti finanziari (+1,1%) sia i debiti commerciali (+1,2%) contratti dalle PMI, indici questi di parziale ripresa, la situazione resta difficoltosa.

Per tale motivo sempre più aziende stanno cercando soluzioni per raccogliere investimenti al di fuori dei circuiti bancari tradizionali e questo spiega il record di raccolta dei fondi di “Private Debt” che hanno raggiunto i 612 milioni nel 2017, vale a dire il 29% in più rispetto all’anno precedente.

A differenza dei PIR, però, quest’ultimo tipo di investimento è riservato agli investitori istituzionali ed è quindi precluso alla clientela retail: il piccolo investitore non può sottoscrivere direttamente quote di un fondo di Private Debt.

Fra le motivazioni, sicuramente c’è il fatto che il Private Debt è considerato uno strumento finanziario illiquido, in quanto è assente un mercato secondario sul quale poter effettuare successive operazioni di compravendita. Le disposizioni di legge danno però la possibilità ai gestori di inserire questa tipologia di fondi nei prodotti PIR.

Ipotizzando che entro il 2021 i Piani Individuali centrino l’obiettivo dei 60 miliardi, la legge prevede che il 10% sia destinato alle PMI italiane, offrendo un rendimento che si aggira oggi, secondo alcune stime, intorno al 5-8%.

Un’opportunità veramente da non perdere sia da parte del risparmiatore italiano che dalle PMI, a cui andrebbe un investimento complessivo di circa sei miliardi di Euro.

Glossario:

  • Private Debt: fondi comuni la cui politica di investimento si focalizza su strumenti finanziari di debito emessi dalle imprese tra cui obbligazioni, cambiali finanziarie, altre tipologie di strumenti finanziari di debito, nonché finanziamenti, sotto forma di trattativa privata (fonte: AIFI). Sono riservati a investitori istituzionali e qualificati
  • Cerved: società fondata nel 1974. Elabora vari report utili, ad esempio, a misurare l’affidabilità di un’impresa tramite valutazione del rischio. I risultati elaborati tengono conto principalmente dai dati estratti dalle Camere di Commercio
  • Credit Crunch: Termine inglese (letteralmente «stretta creditizia») che indica una restrizione dell’offerta di credito da parte degli intermediari finanziari (in particolare le banche) nei confronti della clientela (soprattutto imprese). (Definizione Vocabolario Treccani)
  • PMI: acronimo di Piccole e Medie Imprese. Le PMI sono circa 140 mila, di cui circa:
    • 116 mila piccole < 50 dipendenti
    • 24 mila medie < 250 dipendenti
    • Occupano 3,9 milioni di persone ed hanno un volume d’affari pari a 838 miliardi di Euro, un valore aggiunto di 189 miliardi (12% del PIL) e debiti finanziari per 255 miliardi di Euro (Dati Cerved 2017).

Scarica e conserva “IL CAVEAU N° 29”.