L’interpretazione di Paolo Gambaro Consulente Finanziario, in merito allo stimolo monetario del “Quantitative Easing” (QE), in affiancamento a nuovi piani fiscali. 

Da qualche anno a questa parte, per stimolare l’economia stagnante e la bassa inflazione, le banche centrali hanno attuato una politica di stimolo monetario, nota con il nome di “Quantitative Easing” (QE).

Negli ultimi 20 anni le banche hanno acquistato costantemente titoli di Stato, trovandosi ad avere una ingente quantità di denaro immobilizzata e non utilizzabile, fino alla naturale scadenza di tali obbligazioni. Ecco quindi l’iniziativa delle banche centrali (nel caso europeo della BCE), le quali si sono offerte di acquistare questi titoli (a prezzi vantaggiosi), affinché gli istituti di credito potessero avere nuovamente la liquidità necessaria da prestare a privati ed imprese, a tassi molto bassi, per rilanciare l’economia.

Purtroppo, come abbiamo constatato, questa immissione di liquidità non è risultata sufficiente; si è trattato di uno sforzo ingente, a fronte di risultati poco soddisfacenti.

Nei prossimi mesi, quindi, la maggior parte dei governi dei paesi industrializzati affiancheranno alla politica di QE dei nuovi piani fiscali, nella speranza di stimolare nuovamente la crescita. Il primo ad essersi fatto portavoce è stato il neo Presidente USA Donald Trump, il quale ha promesso un “piano fiscale” da lui stesso definito “fenomenale”. Il progetto proposto è davvero impressionante e prevede:

  1. Dimezzamento delle aliquote contributive dal 35% al 15% per le aziende;
  2. Eliminazione delle imposte di successione (oggi al 40% su patrimoni individuali superiori ai 5 milioni di dollari);
  3. Riduzione delle sette aliquote sul reddito personale a tre aliquote: 12, 25 e 33%;
  4. Investimento in infrastrutture: il grande volano della “Trumpenomics” sarà lo stanziamento di 275 miliardi per ponti, strade ed Internet. L’economia keynesiana sembra davvero tornata in voga.

Quali però gli aspetti negativi? Politiche fiscali espansive si traducono in un maggior debito pubblico. Per questo, alcune agenzie di rating hanno già avvertito che i piani di tagli alle tasse promessi potrebbero minacciare il rating di tripla A. Le manovre economiche di Trump rischiano quindi di aumentare di un ulteriore 33% il debito pubblico statunitense.

E l’Italia? Nella situazione attuale, con i suoi 2.379.849.557.000 di Euro di debito pubblico, il nostro Paese potrà permettersi di attuare valide politiche fiscali, per uscire dalla recessione?

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